Variazione IVA in diminuzione anche per la risoluzione contrattuale non di diritto
Riguardo agli eventi che legittimano l’emissione della nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, non è rilevante la circostanza che la risoluzione del contratto per inadempimento sia una risoluzione di diritto, laddove lo scioglimento dello stesso si realizza al verificarsi delle ipotesi specificatamente previste dalla legge.
A chiarirlo è l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 386 del 20 luglio 2022, tenuto conto che il verificarsi della condizione contemplata da una clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l’inutile decorso del congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.), può costituire il presupposto legittimante l’emissione della nota di variazione.
In linea con l’art. 1458 c.c., secondo cui la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, il comma 9 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 prevede che, nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente/prestatore che il cessionario/committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
Ne consegue che il fornitore la possibilità di emettere note di credito esclusivamente con riferimento a quelle operazioni, già eseguite e fatturate, per le quali la controparte sia risultata inadempiente/insolvente. In tal caso, come puntualizzato dal principio di diritto n. 13/E/2019, la risoluzione (giudiziale o di diritto) travolge le forniture per le quali si sia verificato l’inadempimento, lasciando impregiudicate quelle per le quali il cliente ha regolarmente adempiuto all’obbligo del pagamento del prezzo.
La possibilità di invocare la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto), ai fini di operare la variazione in diminuzione riconosciuta dai commi 2 e 9 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, rappresenta una facoltà riconosciuta al creditore. Egli, infatti, può rinunciare a detto beneficio, scegliendo, invece, nell’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale o esecutiva, di operare la variazione in diminuzione alle condizioni stabilite dal nuovo comma 3-bis - introdotto nell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 dall’art. 18, comma 1, lett. b), del D.L. n. 73/2021 (decreto “Sostegni-bis”).
In ragione della riconosciuta possibilità di emettere la nota di variazione in diminuzione sin dall’apertura della procedura concorsuale ed indipendentemente dal suo esito (ovvero, anche nell’ipotesi di omessa insinuazione al passivo, come chiarito dalla circolare n. 20/E/2021), il nuovo comma 5-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 prevede che, nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis, e quindi successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, sorge l’obbligo di emettere una nota di variazione in aumento.
Da ultimo, nella risposta n. 386/2022, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto) o l’avvio della procedura esecutiva sono due percorsi tra loro alternativi ai fini di operare la variazione in diminuzione, essendo il primo una facoltà riconosciuta al creditore che non intenda procedere in via esecutiva per recuperare il proprio credito, ritenendo l’iniziativa poco proficua. Di conseguenza, il creditore che decide di avviare l’azione esecutiva, rinuncia al suo diritto di invocare la risoluzione contrattuale quale presupposto per emettere la nota di credito e deve, quindi, a tal fine attendere l’esito infruttuoso della procedura.