Diritto

Doppia imposizione per lo smart working in Italia del residente estero


A pochi giorni dalla risposta all’interpello n. 621 (23 settembre 2021), l’Agenzia delle Entrate è ritornata sull’argomento con la risposta 27 settembre 2021, n. 626, con la quale ha fornito nuovi chiarimenti in tema di trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente percepito da un soggetto non residente che, a causa dell'emergenza epidemiologica, svolge attività lavorativa in Italia, in smart working, per una società estera.

Il quesito 

Il caso di specie riguarda una cittadina italiano iscritta all’AIRE, residente in Lussemburgo, dipendente di una società lussemburghese, che nel 2020 (per la maggior parte del periodo d’imposta) ha svolto la prestazione lavorativa in smart working in Italia a causa dell’emergenza Covid-19.

L’istante chiede quindi di conoscere quale sia il corretto regime fiscale applicabile al reddito di lavoro dipendente percepito nell'anno d'imposta 2020, esprimendo parere che tale reddito non debba essere assoggettato imposizione in Italia, ma in Lussemburgo, non avendo alcun rilievo il luogo nel quale la prestazione lavorativa è stata svolta. 

La normativa

Si ricorda, in linea generale, che ai fini dell’assoggettamento ad imposizione, l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili, e per i non residenti solo da quelli prodotti nel territorio dello Stato (art. 3, comma 1, TUIR).

Inoltre, i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato si considerano prodotti in Italia, ex art. 23, comma 1, lett. c), del TUIR, a meno che il nostro Paese non abbia stipulato con lo Stato di residenza del lavoratore una convenzione contro le doppie imposizioni. 

Nella fattispecie in esame occorre riferirsi alla Convenzione fra Italia e Lussemburgo (stipulata a Lussemburgo il 3 giugno 1981 e ratificata con legge n. 747/1982), la quale, all’art. 15, prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l'attività lavorativa sia svolta nell'altro Stato contraente. In quest’ultimo caso le somme sono tassate in entrambi i Paesi.

Soluzione

Nel caso prospettato dall’istante è necessario stabilire cosa si intenda per “luogo di prestazione” dell'attività lavorativa, considerando la particolare ipotesi di lavoro svolto in smart working. 

L’art. 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni, chiarisce che il luogo di prestazione è quello dove il lavoratore è fisicamente presente quando svolge l’attività lavorativa.

In base all'art. 15 della Convenzione Italia-Lussemburgo e all'art. 23 del TUIR, l’Agenzia Entrate ritiene che il reddito percepito dall'istante, cittadina italiana residente in Lussemburgo che ha svolto attività lavorativa in smart working in Italia dal 2020 ad oggi, rilevi fiscalmente anche in Italia, ex artt. 49 e 51, commi da 1 a 8, del TUIR.

Alla fattispecie non può applicarsi il paragrafo 2 dell’art. 15 della Convenzione che  prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza (nella specie il Lussemburgo) anche per i redditi erogati per il lavoro svolto nell'altro Stato (nel caso in esame l’Italia) in quanto non ricorre la condizione che prevede un soggiorno nell’altro Stato da parte del beneficiario non superiore a 183 giorni, avendo l’istante fatto presente che è stata in Italia per un periodo maggiore.

Pertanto, il reddito va tassato in entrambi gli Stati e la conseguente doppia imposizione sarà risolta con il riconoscimento di un credito d'imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza della dipendente.