Indennità di mobilità, le linee guida della Cassazione
I lavoratori in mobilità hanno diritto, qualora ne facessero richiesta, ad ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità. Se dovessero trovare lavoro, nel pubblico o nel privato, nei 24 mesi successivi alla ricevuta del pagamento, il lavoratore sarà obbligato alla restituzione.
L’Inps ricorre in Cassazione a seguito della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Firenze, la quale ha dato ragione alla controparte affermando che la rioccupazione dell'assicurato con contratto di lavoro subordinato cd intermittente nei 24 mesi successivi all'avvenuta corresponsione dell'indennità di mobilità anticipata non fosse di ostacolo al mantenimento dell'indennità di mobilità anticipata percepita e che quindi nulla fosse dovuto in restituzione.
La Corte, prendendo in esame la legge n. 223 del 1991 la quale, all’articolo 7 comma V, presuppone l’anticipazione della mobilità al fine di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine precipuo di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato così perdendo la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, e configurandosi non già come funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio. Se il lavoratore nei 24 mesi successivi all’anticipazione, dovesse trovare lavoro sarà chiamato a restituire la somma anticipata.
Per questi motivi, avendo la controparte, sottoscritto nei 24 mesi successivi un contratto di lavoro intermittente e rientrando questa tipologia del lavoro subordinato, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24951 del 2021, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e la rinvia alla Corte d’Appello.