Lavoro

Responsabilità del datore di lavoro e misure di sicurezza


La Cass. civ., n. 15238 del 2021 ribadisce che la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c. estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore. Tale articolo impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro, in concreto, svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori.

 

Il fatto e i motivi di diritto

Il Tribunale ha condannato in via solidale le aziende al risarcimento dei danni derivati al lavoratore dall’infortunio; anche i successivi giudici di d’Appello hanno sostenuto, a conferma della condanna di primo grado, come non vi siano prove che vi sia stato il c.d. rischio elettivo cioè che la condotta del lavoratore abbia potuto determinare l’esonero di responsabilità delle società coinvolte; oltretutto è mancata del tutto la prova di un’adeguata formazione del lavoratore, addetto all’utilizzo della macchina automatica, detta “soffiatrice di anime”; tutto ciò evidenziato, nessun concorso di colpa è imputabile al lavoratore.

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi sui seguenti motivi:

a) il primo motivo proposto dalla parte attrice, consistente nella violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. di norme di diritto in relazione all'esito dell'istruttoria di primo grado; si contesta che la Corte abbia operato “d’ufficio” e con un’evidente finalità punitiva. Tale motivo non viene ritenuto meritevole di accoglimento poiché tenderebbe ad ottenere una nuova valutazione del fatto in esame, cosa non possibile nella sede di Corte di Cassazione;

b) nel secondo motivo, viene in esame la violazione dell’applicazione dell’articolo 2087 e.e. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: si contesta infatti che, valutate le prove emerse, i giudici abbiano ritenuto applicabile la previsione normativa di cui all'art. 2087 c.c. anche alla committente. Tale motivo non è fondato in quanto, se è vero che la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell'ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c., che impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto, svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori; e che oltretutto la violazione del dovere del neminemlaedere può consistere anche in un comportamento omissivo e che l'obbligo  giuridico di impedire l'evento può discendere, oltre che da una norma di legge o da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività, a tutela di un diritto altrui, è da considerare responsabile il soggetto che, pur consapevole del pericolo cui è esposto l'altrui diritto, ometta di intervenire per impedire l'evento dannoso.

Da tali premesse, nel caso in esame l’onere della prova gravava sul datore di lavoro il quale doveva dimostrare di aver attuato tutte le misure necessarie per evitare il danno; pertanto, una volta dimostrato che non vi è stato alcun comportamento del lavoratore tale da sovvertire tali precauzioni, deve affermarsi la sussistenza del nesso causale tra il detto infortunio e l'attività svolta dal lavoratore in un ambiente in cui, per la pericolosità della macchina automatica alla movimentazione della quale il medesimo era stato destinato dopo solo un giorno di formazione, era altamente probabile che, non adottando ogni cautela prescritta, si verificassero eventi dannosi per il personale. Dati questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.