Errata applicazione del reverse charge “esterno” con sanzione fissa
Quando le operazioni domestiche intercorrono tra soggetti non stabiliti ai fini IVA in Italia, il fornitore deve emettere fattura con IVA utilizzando la partita IVA italiana. In difetto, se l’imposta è stata applicata dalla posizione IVA italiana dei clienti non residenti, il fornitore è soggetto al pagamento della sanzione fissa compresa fra 250 euro e 10.000 euro, che può essere regolarizzata con l’istituto del ravvedimento operoso.
È quanto chiarisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 301 del 28 aprile 2021, prendendo in considerazione il caso di una società lussemburghese con posizione IVA in Italia che ha applicato, nei confronti di alcuni soggetti passivi non stabiliti in Italia, un regime IVA errato con riguardo alle cessioni territorialmente rilevanti in Italia, emettendo fattura dalla propria partita IVA lussemburghese nel presupposto che i clienti avrebbero assolto l’imposta in reverse charge, ex art. 17, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972, mediante le proprie stabili organizzazioni in Italia.
Tenuto conto che l’errore commesso non avrebbe determinato alcun danno all’Erario, essendo l’IVA stata assolta dai cessionari mediante il meccanismo del reverse charge, l’istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate come regolarizzare la propria posizione in Italia ai fini IVA attraverso l’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del DLgs. n. 472/1997; in particolare, il dubbio dell’istante è se, nella fattispecie prospettata, sia applicabile la previsione dell’art. 6, comma 9-bis.2, del citato DLgs. n. 471/1997, con la conseguenza che:
- non è dovuto il versamento dell’IVA, in quanto già assolta dai clienti mediante reverse charge;
- per l’errata fatturazione si applica la sanzione in misura fissa da 250 a 10.000 euro.
Nella risposta, l’Agenzia ha confermato che, quando le operazioni domestiche intercorrono tra soggetti non stabiliti ai fini IVA in Italia, il fornitore deve emettere fattura con IVA utilizzando la partita IVA italiana, acquisita mediante identificazione diretta o per mezzo di un rappresentante fiscale. Ne deriva, pertanto, che l’istante avrebbe dovuto fatturare le cessioni interne di beni destinati a soggetti non stabiliti in Italia utilizzando la propria posizione IVA italiana, con addebito dell’imposta in fattura secondo le regole ordinarie.
Nel caso prospettato, salva l’ipotesi di frode, la violazione commessa dall’istante è riconducibile alla fattispecie di cui al richiamato art. 6, comma 9-bis.2, del DLgs. n. 471/1997, nel presupposto che:
- l’istante sia caduto in errore a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti non residenti, con i quali aveva operato attraverso le loro stabili organizzazioni in Italia; e
- l’IVA sia stata effettivamente assolta mediante applicazione del reverse charge.
Pertanto, l’erroneo comportamento tenuto dal cedente (fatturazione mediante la partita IVA lussemburghese in regime di non imponibilità) e dei cessionari (assolvimento dell’imposta mediante il reverse charge) resta cristallizzato, dovendosi applicare la sola sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
Come chiarito dalla circolare n. 16/E/2017, la sanzione è dovuta in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun cliente e può essere definibile regolarizzata mediante l’istituto del ravvedimento operoso, fermo restando che rispondono in via solidale anche i clienti, i quali conservano il diritto alla detrazione dell’imposta erroneamente assolta mediante reverse charge.