Non imponibilità della cessione di beni a società estera
Perché una cessione di beni all’estero non sia imponibile, è necessario che sussista la prova che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero.
Questo ha stabilito la Corte di Cassazione (Sentenza n. 4408 del 23 febbraio 2018), cassando con rinvio la sentenza della CTR del Piemonte in un caso in cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione l’Iva non versata da una Spa in occasione di un contratto di compravendita in esclusiva di beni da essa stipulato con una Srl (operante nella distribuzione) per l’esportazione di prodotti fuori dal territorio europeo (nella specie in Albania).
I fatti
Nella sostanza, per l’esportazione in esclusiva di beni mobili la Spa versava alla Srl italiana un importo pari alla metà del prezzo di mercato della merce, mentre l’altro 50% sostanziava il corrispettivo (royalties) che essa si era impegnata a versare ad un’altra società questa volta straniera (importatore) per lo sfruttamento del proprio marchio sul territorio estero. In occasione di ogni fornitura la Spa fatturava le merci al distributore ex art. 8, comma 10 del d.P.R. n. 633/72, in base ad una dichiarazione d’intento ed emetteva fatture nei confronti dell’importatore straniero per le royalties. L’Agenzia delle Entrate però contestava la natura della convenzione tra la Spa e la società estera in ordine alle royalties, in quanto sosteneva che essa in realtà nascondesse una cessione di beni, escludendo così la rilevanza della dichiarazione d’intento inviata alla Spa dalla distributrice italiana, perché proveniente da un soggetto terzo. Con un avviso di accertamento, dunque, l’Amministrazione finanziaria recuperava l’Iva. La Spa impugnava l’accertamento, ottenendone l’annullamento in primo grado. La CTR del Piemonte invece accoglieva l’appello delle Entrate: i giudici d’appello ritenevano che l’operazione della Spa fosse tesa ad eludere il fisco, in quanto le due società assumevano entrambe veste di acquirenti delle merci, che risultavano consegnate in Italia, alla Srl italiana, che le esportava poi su territorio straniero, fruendo del regime di non imponibilità perché esportatore abituale. L’applicazione del regime di non imponibilità non poteva, invece essere vantato dalla società straniera, in quanto mancava la prova del fatto che essa avesse fornito servizi alla Spa; né essa si poteva valere della dichiarazione d’intento che si riferiva ai rapporti tra questa e la Spa.
La decisione della Cassazione
Di tutt’altro avviso la Cassazione che ha invece chiarito che il regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dall’Unione Europea risponde al principio dell’imposizione dei beni o dei servizi nel loro luogo di destinazione (cfr., quanto all'art. 15 della sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, Corte giust. 18 ottobre 2007, causa C-97/06 e 22 dicembre 2010, causa C-116/10). Il regime di non imponibilità richiede dunque che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente, che il fornitore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr. tra le altre Corte giust. 6 settembre 2012, causa C-273/11, mentre per la giurisprudenza interna, cfr. Cass. 21 aprile 2017, n. 10114). Perché una cessione di beni sia non imponibile, in altri termini, non è necessario che sussista la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto, piuttosto, che sia provato il fatto che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile una comune volontà degli originari contraenti (conforme, tra le più recenti, Cass. 17 luglio 2014, n. 16328).