Lavoro

La contribuzione figurativa che si colloca dopo la cessazione del rapporto lavorativo non incide sul calcolo dell’indennità di disoccupazione


I periodi relativi a quelli per cui sia prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro in relazione all’evento maternità, ma che si collochino fuori dalla costanza del rapporto di lavoro, sebbene riconosciuti dall’ordinamento come periodi contributivi attraverso la contribuzione figurativa (come previsto dal d.lgs. n. 503 del 1992, art. 14, comma 3; poi, dal d.lgs. n. 564 del 1996, art. 2, comma 4; infine, dal d.lgs. n. 151 del 2001, art. 25, comma 2), non valgono per il riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione; infatti, la tassatività delle ipotesi di rilevanza della contribuzione figurativa implica, agli effetti della tutela contro la disoccupazione, che i contributi correlati a periodi di maternità attengano ad un rapporto di lavoro in atto.

Questo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 30426 del 19 dicembre scorso.

La legge prevede espressamente che l’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità incida sul calcolo per maturare il requisito di un anno di contribuzione ai fini dell’indennità di disoccupazione se il periodo di astensione obbligatoria interrompe un rapporto di lavoro in atto; l’art. 56, primo comma, lett.a) del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, stabilisce infatti che: «Dopo l’inizio dell’assicurazione sono computati utili a richiesta dell’assicurato i periodi di interruzione obbligatoria e facoltativa dal lavoro durante lo stato di gravidanza e di puerperio...», così la suddetta disposizione richiama espressamente “i periodi di interruzione dal lavoro” ed equipara contribuzione figurativa ed effettiva ai fini non solo pensionistici, ma anche per la tutela contro la disoccupazione (come previsto dall’art. 12 DPR n 818/1957); tuttavia, in base a quanto stabilito dal comma 3 dell’ art. 12 DPR n. 818/1957

«Il periodo di interruzione obbligatoria dal lavoro deve in ogni caso verificarsi nel corso di prestazione d'opera determinante l'obbligo dell'assicurazione per la quale il periodo stesso è riconosciuto ai sensi dei due precedenti commi».

Pertanto, i contributi figurativi riferiti a periodi di astensione obbligatoria verificatisi al di fuori di un rapporto di  lavoro in atto, non sono validi ai fini del computo del periodo utile per la tutela contro la disoccupazione.

Attraverso la contribuzione figurativa dei periodi di maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, il legislatore ha, difatti, inteso proteggere solo il diritto alla pensione, ragion per cui la suddetta contribuzione figurativa non si ripercuote sulla disoccupazione, così, il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (recante “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici)” che, appresta, per la prima volta, tale tutela, prevede all’art. 14 (comma 1) la facoltà di riscattare, a domanda, i “periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio” e all’art. 14 (comma 3), considera coperti da contribuzione figurativa i periodi per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio “ancorchè intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro” e le successive disposizioni sostanzialmente recepite nel d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 25, comma 2 che stabilisce, ancora una volta, che i periodi corrispondenti al congedo di maternità «...verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro sono considerati utili [solo] ai fini pensionistici...».

Ragion per cui ciò che assume rilievo, ai fini del raggiungimento del requisito di un anno di contribuzione occorrente per il diritto all’indennità di disoccupazione, dicono i giudici di legittimità, è che il periodo di interruzione sia racchiuso in un rapporto di lavoro in atto, come richiesto anche dall’art. 56 r.d.l. n.1827/1935  e non al di fuori dallo stesso rapporto.