Lavoro

Licenziato in tronco il dipendente che archivia sulla pen drive i dati aziendali anche se non li comunica a terzi


La Corte di Cassazione con la sentenza del 24 ottobre scorso (n. 25147) ha rigettato il ricorso di un lavoratore dipendente operante nel settore della chimica che era stato licenziato in tronco in quanto aveva trasferito su una pen drive di sua proprietà dati aziendali interni, ma senza divulgarli o comunicarli a terzi. Le decisioni di merito erano state contrastanti, infatti il giudice di primo grado aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, mentre il giudice d’appello lo aveva convalidato considerando la condotta del dipendente, seppur potenzialmente, comunque lesiva per l’azienda, in quanto integrante la fattispecie di cui all’art. 52 del c.c.n.l. delle aziende del settore chimico. Per la Corte d’Appello infatti, nonostante l’archiviazione dei dati sul supporto esterno non fosse stata seguita da una divulgazione concreta degli stessi, con la copiatura, i dati erano, in ogni caso, stati resi disponibili a terzi. Per il dipendente, invece, il fatto di non aver divulgato concretamente i dati e la mancata prova che si trattasse di dati protetti, comportavano l’illegittimità del licenziamento intimato nei suoi confronti ex art. 52 cit; al più la condotta poteva integrare la fattispecie meno grave di cui all’art. 51 del c.c.n.l. citato.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, nella sua decisione, ha tuttavia confermato quanto espresso dalla Corte d’Appello, chiarendo che la condotta addebitata al lavoratore, quale era risultata in giudizio provata, dovesse essere ricondotta all'ipotesi di cui al citato art. 52 lettere e. ed f., sanzionata con la massima pena espulsiva. Recita infatti la disposizione: il licenziamento con immediata rescissione del rapporto di lavoro può essere inflitto, con la perdita dell’indennità di preavviso, al lavoratore che commetta gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o che provochi all'impresa grave nocumento morale e materiale o che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro esemplificativamente individuata nel furto o danneggiamento volontario di materiale di impresa e nel trafugamento di schede, disegni di macchine, utensili o comunque di materiale illustrativo di brevetti o di procedimenti di lavorazione (art. 52 citato in particolare lettere e ed f).

Pertanto, il comportamento del dipendente che, in ragione della sua qualifica, sottrae dati aziendali, non può essere ricondotto alla meno grave fattispecie prevista dall’art. 51 del c.c.n.l. settore chimica relativa all’utilizzo improprio di strumenti di lavoro aziendale che viene punita con la sanzione conservativa dall’ammonizione scritta alla sospensione, ma integra un’ipotesi ben più grave, in quanto connotata dallo scopo perseguito di sottrarre dati ed informazioni, per la cui realizzazione correttamente è stata ritenuta non essenziale la distruzione o rimozione dal sistema del dato stesso, laddove invece la sanzione più lieve era comminata in relazione ad usi impropri e non autorizzati quali ad esempio l'invio di mail per ragioni personali o l'archiviazione di dati o informazioni strettamente personali (fotografie, musica etc.). Ai fini del perfezionamento della condotta di cui all’art. 52 non è essenziale, secondo la Cassazione, l’avvenuta divulgazione a terzi dei dati di cui il dipendente indebitamente si appropria, essendo a tal fine sufficiente la mera sottrazione degli stessi, né tanto meno può valere il fatto che i dati sottratti siano o meno riservati. La circostanza che il dipendente sia libero di accedere a tali dati non lo autorizza ad appropriarsene creandone copie idonee a far uscire le informazioni al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro. Il lavoratore ha infatti l’obbligo di astenersi da condotte anche potenzialmente lesive degli interessi del datore di lavoro (cfr. Cass. 30/01/2017 n. 2239).