Fisco

L’assenza della grave incongruenza tra ricavi dichiarati e attesi invalida l’accertamento


La Cassazione ha accolto le motivazioni di una snc che lamentava, tra le altre cause di ricorso avverso la decisione dei giudici di merito, l’aver ritenuto fondato l’accertamento che l’Agenzia delle Entrate aveva effettuato nei confronti della società stessa, basandosi sugli studi di settore, sebbene l’esistenza di ricavi dichiarati dalla contribuente per l’annualità 2002 in misura superiore ai ricavi minimi ammissibili ed inferiore di appena pochi punti percentuali rispetto ai ricavi puntuali attesi, non costituisse grave incongruenza.

Chiarisce la Corte, nella sua decisione n. 10271/2017, che l’assenza di qualsiasi riferimento ad una grave incongruenza tra le risultanze di detti studi e quanto dichiarato dai contribuenti, comporta l’inoperatività della presunzione recata dagli studi di settore, in quanto la sua applicabilità è limitata a scostamenti significativi (v. Cass. n. 22421 del 04/11/2016; n. 3415 del 2015).

I giudici di merito hanno pertanto errato ritenendo che le presunzioni di settore abbiano valore assoluto, potendo il contribuente solo “adeguarsi al valore puntuale di riferimento dei ricavi oppure aderire alla proposta di definizione con adesione”: ciò in contrasto con le norme di riferimento e l’interpretazione offerta della giurisprudenza.

L’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo, ricordano i giudici, solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa (cfr. Cass. n. 26481 del 17/12/2014).

Invalido quindi l’accertamento, il ricorso della contribuente viene accolto.