Inefficace il trasferimento dell’impresa familiare, se il familiare compartecipe non ha potuto esercitare il diritto alla prelazione
La Corte di Cassazione (sentenza n. 10147 del 2017), con siffatta pronuncia, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato l’inefficacia del trasferimento verso terzi di un’impresa familiare, in cui uno dei figli, compartecipe per più di 15 anni al lavoro familiare, non era stato messo nelle condizioni di esercitare il diritto di prelazione e consentendo allo stesso figlio estromesso di esercitare il riscatto dell’azienda nei confronti dei cessionari.
Questo perché spiega la Cassazione, secondo il quinto comma dell’art. 230 bis c.c.: “In caso di divisione ereditaria o di trasferimento di azienda i partecipi di cui al comma 1, hanno diritto di prelazione sulla azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'art. 732 c.c.”. Quest'ultima disposizione stabilisce che “Il coerede che vuole alienare ad un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria”.
La stessa Corte (v. Cass. n. 27475 del 2008), nell’esaminare la ratio che ha esteso l’istituto del retratto successorio anche ai partecipi dell’impresa familiare, ha chiarito che l’intento del legislatore è stato quello di proteggere in maggior misura il lavoro familiare, incoraggiando nell’acquisto dell’azienda, coloro che hanno contribuito attivamente all’impresa nell’ambito della famiglia. A fondamento della scelta del legislatore vi sono dunque principi di rango costituzionale, che consentono di individuare un ampio ambito di operatività dell’istituto qui ad oggetto, giungendo alla conclusione che la prelazione prevista dalla norma in favore del familiare, nel caso di alienazione dell'impresa di cui è partecipe, è una prelazione legale, che consente il riscatto nei confronti del terzo acquirente, senza che all'applicazione di tale istituto possa essere d'ostacolo la mancanza di un sistema legale di pubblicità dell'impresa familiare, avendo il legislatore inteso tutelare il lavoro più che la circolazione dei beni.
Conferma dei giudici
Pertanto, continuano i giudici, una volta accertata la partecipazione ad una impresa familiare, è sufficiente che vi sia “trasferimento di azienda” perché il partecipe debba necessariamente essere messo nelle condizioni di esercitare il proprio diritto di prelazione ed operi dunque la disposizione contenuta nel quinto comma dell’art. 230 bis c.c., essendo irrilevante il fatto che la cessione avvenga, come nel caso di specie, mediante il conferimento dell’azienda in una società di persone - che è comunque un soggetto giuridico terzo - in cui mantenga un ruolo dominante il titolare della vecchia azienda familiare, quale socio illimitatamente responsabile ed amministratore. E’ sufficiente, dunque, che si tratti di vicenda traslativa perché il familiare maturi il diritto di prelazione, questo perché la norma tutela il familiare partecipe che sia stato estromesso e non colui che invece sia stato incluso nell’operazione di trasferimento. La lettera della disposizione non consente un’interpretazione restrittiva, in quanto, come sostenuto in dottrina, a differenza della comunione ereditaria, l’estraneità del cessionario non è richiesta in riferimento all’impresa familiare, considerando altresì che il rinvio all’art. 732 c.c. è effettuato dall’art. 230 bis c.c. “nei limiti in cui è compatibile”.
Né vale ai fini della notificazione la presenza del familiare estromesso davanti al notaio presso cui si è consumato l’atto di trasferimento, in quanto, tale presenza, non è idonea a produrre gli effetti di una valida notificazione, atteso che, secondo la stessa Cassazione, la “notifica di alienazione”, ai sensi dell’art. 732 c.c., costituisce una proposta contrattuale che deve includere, in maniera chiara e certa, tutti gli elementi idonei alla conclusione del negozio e, pertanto, va realizzata in forma scritta e notificata con modalità idonee a documentarne il giorno della ricezione da parte del destinatario, ai fini dell’esercizio della prelazione (cfr. Cass. n. 5865 del 2016).
Essendo invalido il trasferimento, è legittimo il diritto di riscattare l’azienda concesso dai giudici di merito al familiare estromesso.