Fisco

Compensi professionali soggetti a IVA anche se incassati dopo la cessazione dell'attività


A seguito dell’ordinanza n. 24432 del 17 novembre 2014, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016, si sono pronunciate sulla questione della rilevanza ai fini IVA dei compensi incassati dal professionista dopo la cessazione dell’attività e la chiusura del numero di partita IVA. Il dubbio sollevato dalla Suprema Corte nella citata ordinanza discende dal tenore letterale dell’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, il quale – con specifico riguardo alle prestazioni di servizi – ricollega il presupposto oggettivo non già all’esecuzione della prestazione, ma al successivo pagamento, totale o parziale, del corrispettivo.

Con una interpretazione comunitariamente orientata, la norma in esame deve essere letta alla luce delle corrispondenti disposizioni contenute nella Direttiva n. 2006/112/CE, dalle quali si evince che soltanto l’esigibilità può essere rinviata al momento del pagamento del corrispettivo, mentre il cd “fattore generatore dell’imposta”, cioè il momento in cui l’operazione si considera effettuata ai fini dell’IVA, resta agganciato all’ultimazione della prestazione. Del resto, la stessa Corte di giustizia, nella sentenza di cui alla causa C-114/94, ha rilevato che l’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 deve essere interpretato nel senso che il pagamento del corrispettivo assume rilevanza esclusivamente ai fini dell’esigibilità dell’imposta.

La soggettività passiva d’imposta deve, pertanto, considerarsi sussistente nel momento in cui il professionista ha ultimato la prestazione, indipendentemente dalla circostanza che, nel momento (successivo) del pagamento, l’attività professionale sia stata cessata con la chiusura del numero di partita IVA.

La conseguente imponibilità dei compensi professionali incassati dopo la cessazione dell’attività, in un primo tempo negata dall’Amministrazione finanziaria sulla base dell’interpretazione letterale della norma (R.M. 16 dicembre 1991, n. 475455), è stata successivamente sostenuta dalla stessa prassi amministrativa. In particolare, con la circolare 16 febbraio 2007, n. 11 (risposta 7.1), l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”. In pratica, ha precisato la risoluzione n. 232 del 20 agosto 2009, “la cessazione dell’attività per il professionista non coincide (…) con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali”; è solo a partire da quest’ultimo momento che il professionista può procedere alla chiusura della partita IVA.

L’imponibilità dei compensi percepiti dopo la cessazione dell’attività trova conferma nel principio di effettività, in forza del quale l’applicazione della disciplina IVA, dipendendo unicamente dalla sussistenza dei presupposti di fatto del tributo, non può essere condizionata (a svantaggio come a vantaggio del contribuente) da fattori puramente formali. Di conseguenza, fino all’esaurimento di tutte le operazioni fiscalmente rilevanti, non assume valore determinante, ai fini dell’esclusione da imposizione, l’intervenuta dichiarazione di cessazione dell’attività ex art. 35 del D.P.R. n. 633/1972 e quello della chiusura della partita IVA, atteso il carattere meramente formale della prima evenienza e puramente strumentale della seconda.