Lavoro

Fondazione Studi: Jobs Act, ennesimo cambio di regole. Varierà il risultato?


La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro con Circolare n.1/2015 analizza le principali disposizioni del Jobs Act. Vediamo di seguito quelle inerenti il licenziamento.

Il Contratto a tutele crescenti

Il 24 dicembre scorso è stato approvato lo schema di decreto legislativo in attuazione della legge n. 183/2014 che dispone la delega al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

Il decreto introduce una specifica disciplina sulle conseguenze per il datore di lavoro nel caso in cui ponga in essere un licenziamento illegittimo; si considera tale il licenziamento nullo perché discriminatorio, o per altre cause di nullità previste dalla legge, oppure quando risulti accertato dal Giudice che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o giusta causa. Resta evidente che, laddove in base ad una valutazione di proporzionalità accertata dal Giudice, sia riscontrata la legittimità del licenziamento, nessuna reintegrazione o indennità è dovuta al lavoratore.

Ambito di applicazione -  Il decreto trova applicazione per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla sua data di entrata in vigore presumibilmente individuabile nei primi giorni di febbraio 2015, al termine dell’iter stabilito dalla legge delega n. 183/2014. Restano, dunque, esclusi i rapporti a tempo determinato e  i rapporti con qualifica dirigenziale.

Licenziamenti nulli 

L’art. 2, comma 1 del decreto stabilisce che “Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto”.

L’art. 2 estende gli effetti del regime di nullità anche al licenziamento inefficace in quanto intimato in forma orale. La forma scritta è il requisito minimo di rilievo giuridico che il nostro ordinamento richiede per l’efficacia del licenziamento, pertanto l’omissione di tale adempimento minimo comporta l’inefficacia irreparabile del provvedimento espulsivo, che è perciò nullo ed improduttivo di effetti, a prescindere da qualsiasi altra valutazione di merito.

Opting out unilaterale

L’art. 2, comma 3 stabilisce che al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

L’indennità risarcitoria

Nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o giusta causa, dia luogo al riconoscimento di una indennità risarcitoria il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Essa, inoltre, non è assoggettata a contribuzione previdenziale come già previsto per le indennità dell’art. 18 post riforma Fornero (da 12 a 24 mensilità per il recesso ingiustificato, nonché da 6 a 12 mensilità per i vizi formali), della tutela obbligatoria (da 2,5 a 6 mensilità) e del contratto a termine (da 2,5 a 12 mensilità). La norma esclude l’indennizzo soltanto dalla contribuzione previdenziale, lasciando, pertanto, l’obbligo di applicazione delle ritenute fiscali.

Le tutele crescenti nelle piccole aziende

Nelle aziende con unità produttive fino a 15 dipendenti in ambito comunale (e sotto i 60 dipendenti complessivamente), per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto non si applica più la legge c.d. tutela obbligatoria, ma un regime di tutele crescenti dimezzato rispetto agli altri lavoratori, con esclusione della reintegra nelle ipotesi di insussistenza del fatto materiale.

In particolare, il licenziamento ingiustificato – sia economico che disciplinare – estingue (come sempre) il rapporto di lavoro ed il lavoratore ha diritto ad una indennità pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 ed un massimo di 6 mensilità. Ciò significa che l’importo dell’indennità giudiziale è di 2 mensilità fino al termine del secondo anno di servizio, per poi crescere di una mensilità ogni anno fino al sesto anno di servizioL’indennità risarcitoria minima passa da 2,5 mensilità a 2 mensilità.